«Orgogliosi di essere italiani e bergamaschi»

di Ettore Ongis

Benvenuto a Bergamo, presidente Ciampi. Benvenuto nella nostra città bella, operosa, prospera e solidale. Le auguriamo e ci auguriamo che in questi due giorni possa ammirare il suo patrimonio d’arte e di storia, ma soprattutto possa incontrare la cordialità discreta dei bergamaschi, il loro ingegno imprenditoriale, le radici cristiane e il sincero rispetto per le istituzioni che animano la nostra gente. È tenendo conto di questi caratteri che i suoi collaboratori hanno definito l’agenda degli incontri, e sappiamo con quanta cura lei in prima persona abbia voluto preparare questa tappa del suo viaggio in Italia. Le siamo grati di tanta attenzione e del privilegio della sua visita.

Ancor più apprezziamo che, prima di ogni altro appuntamento, abbia scelto di incontrare i bergamaschi delle valli colpiti dall’alluvione di novembre. La nostra provincia è fra le aree del Paese dove più alti sono il tenore e la qualità della vita. Abbiamo abbondanza di posti di lavoro, beni, consumi e occasioni di svago. I disagi personali e sociali sono limitati ed elevato è il livello qualitativo dei servizi e delle amministrazioni locali. Viviamo, insomma, una stagione di agiatezza diffusa e ci teniamo stretto il benessere conquistato a fatica. Qualcuno mette in relazione la difesa di questi privilegi con una mancanza di condivisione dei bisogni. Ma ciò non corrisponde al vero: Bergamo è sempre stata intraprendente anche nella solidarietà e nell’accoglienza. Il benessere attuale non è frutto di un miracolo: solo cinquant’anni fa la nostra era la povera terra di contadini raccontata da Ermanno Olmi ne «L’albero degli zoccoli». Le valli erano letteralmente «valli di lacrime» e per i padri di famiglia cercare fortuna all’estero era la norma. In pochi decenni tutto è cambiato. Ed è cambiato grazie alle nostre forze, a un’etica del lavoro inteso come forma di riscatto e di affermazione personale e sociale.

Sappiamo che in questa «cultura del lavoro» risiede anche il nostro limite: ci stiamo ancora mettendo al passo con il livello d’istruzione del resto d’Italia e l’eccessivo dinamismo ci vede tra i primi nelle tristi classifiche degli incidenti sulle strade, nelle fabbriche e sui cantieri. Ma al di là di questi gravi problemi, ai quali è urgente porre rimedio, oggi la Bergamasca è una delle province più industrializzate d’Europa: alle grandi industrie si è affiancato un capitalismo molecolare fatto di piccole e medie aziende che sono la spina dorsale dello sviluppo locale e nazionale. Oltre che dal lavoro, lo straordinario sviluppo economico è stato reso possibile da una forte identità e dall’humus cattolico-sociale che ha favorito un clima di coesione.

Potremmo dire che imprenditori e operai hanno partecipato a un’opera comune e non è un caso se Bergamo è patria di industriali quanto lo è di sindacalisti: il dialogo fra le parti, la concertazione, prima ancora di diventare un metodo condiviso a livello nazionale, ha trovato qui un terreno già arato. Certo, non tutto funziona come dovrebbe e alcune carenze strutturali - le strade e i collegamenti ferroviari in primis - sono evidenti e penalizzanti. Se lo sentirà ripetere spesso nei due giorni della visita. Ma ciò non è dovuto a incapacità o a negligenza. Dipende in gran parte dalla scarsa attenzione che i bergamaschi hanno riservato alla politica, o meglio, a una visione della politica, per anni dominante nel Paese, che alla responsabilità personale ha preferito delegare le proprie tutele all’intervento dello Stato. I bergamaschi sono italiani orgogliosi, ma non amano affidare ad altri la soluzione dei loro problemi. Innumerevoli opere di rilevanza sociale in questa provincia sono sorte, dal basso, per iniziativa di singoli e associazioni: ospedali, scuole, aziende, enti di assistenza e di carità. Un impeto che si è affievolito quando il potere centrale o le sue diramazioni ha voluto sostituirsi alle persone e alle comunità intermedie. Con il drammatico passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, la Bergamasca, «provincia bianca», ha cambiato volto e, negli Anni Novanta, qui più che altrove si sono alzate la protesta contro le istituzioni e la domanda di secessione. La Città dei Mille è sembrata voltare le spalle alla sua storia. Un sentimento di ribellione ora fortunatamente assopito, ma che talvolta riaffiora di fronte alle inefficienze e alle domande rimaste inevase. Quello che i bergamaschi non sono disposti a fare è cedere altro terreno all’omologazione, un’omologazione al ribasso che comporta l’attenuarsi della propria diversità e quindi dell’identità. Bergamo è capace di confrontarsi con l’Europa e con le sfide della globalizzazione, ma è altrettanto gelosa delle sue tradizioni e del suo modo di essere.

Caro presidente, siamo consapevoli che non possiamo chiedere al capo dello Stato la soluzione di problemi che non sono di sua competenza. Tocca al Parlamento realizzare le riforme istituzionali. Ma l’auspicio è che la sua visita sia un’occasione propizia affinché chi deve decidere presti ascolto alla richiesta che viene anche dalla nostra provincia di un decentramento effettivamente praticato, sostenuto e finanziato. Lei, presidente Ciampi, è il simbolo e il custode dell’unità della Patria. L’unità però, per essere tale, chiede pari dignità e collaborazione serena e proficua fra il centro e la periferia. Conosciamo la sua sensibilità su questi temi e, del resto, diversi passi in avanti sono stati fatti. Ma il federalismo solidale - quello che non moltiplica le burocrazie a livello regionale, provinciale o comunale ma quello che, conciliando sussidiarietà e governance, valorizza al massimo le potenzialità e le risorse presenti sul territorio - è ancora in larga misura da costruire. A Bergamo ne avvertiamo l’urgenza, ma siamo sicuri che da oggi, grazie a lei, l’attesa sarà meno lunga.(06/05/2003)

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